cristallo piezolelettrico


 

“Marelli? Venga…”

Con un sorriso dolce, la dottoressa mi invita a seguirla.

Entriamo in una stanza illuminata solo da luci artificiali. Inizio a spogliarmi e mi sento a disagio mentre rimango vestita solo dalla cinta in giù indossando zeppe di corda.

Aspetto che la dottoressa cambi la carta che spalma il lettino come una sottiletta sul pan carrè e poi mi sdraio.

(Continua)

cristallo piezoelettrico

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Marelli? Venga…”

Con un sorriso dolce, la dottoressa mi invita a seguirla.

Entriamo in una stanza illuminata solo da luci artificiali. Inizio a spogliarmi e mi sento

a disagio mentre rimango vestita solo dalla cinta in giù indossando zeppe di corda.

Aspetto che la dottoressa cambi la carta che spalma il lettino come una sottiletta sul pan carrè e poi mi sdraio.

Le luci si spengono, il gel fresco è spremuto sulla zona da indagare.

E gli inudibili, invisibili ultrasuoni iniziano a guardarmi dentro.

“C’è qualcosa?” chiedo dopo una folata di secondi.

“Per ora tutto ok…stia ferma…tenga le braccia bene in alto…ok….”

Per ora tutto ok, dice. E fra mezzo secondo? Dio che ansia.

Passano secondi o minuti oppure ore: il tempo è un gran trasformista in queste occasioni.

Fisso il soffitto e mi rifugio dentro di me.

Se va tutto bene, quando esco mi compro una fetta di torta.

Anzi no, poi mi vengono le lacrime di coccodrillo perché dela botta di calorie non ne avevo bisogno.

Allora se va tutto bene, quando esco chiamo una certa persona e gli dico che cosa penso veramente…

Se va tutto bene, mi compro un vestito nuovo. Ma no, dai, che cosa serve l’ennesimo

straccio di cotone made in China che tanto dopo due lavatrici è già scolorito?

Se va tutto bene…No, se continuo ad avere queste idee cretine, le chiedo di farmi una lobotomia express.

Per distrarmi, penso alla tecnologia, agli ultrasuoni, al fatto che sono onde sonore molto energetiche,

che in questo momento stanno rimbalzando contro i miei organi e che mi sto affidando allo sguardo esperto della dottoressa Occhi Dolci.

E se stanotte ha dormito male ed è stanca e le sfugge una macchia sospetta?

E se suo marito l’ha fatta arrabbiare e ora sta rimuginando e il suo cervello non vede che c’è qualcosa di strano

perché troppo occupato a meditare vendetta?

Con la coda dell’occhio sbircio la professionista, è molto concetrata. Non mi sembra arrabbiata, né distratta.

Ok, penso alla fisica… Ultrasuoni…frequenza superiore ai 20.000 Hz.

Quelli usati in medicina hanno frequenze dell’ordine dei milioni di Hz, cioè sono onde sonore in cui le molecole d’aria

vibrano attorno alla loro posizione di equilibrio milioni di volte al secondo.

Si ottengono facendo passare corrente in un cristallo piezoelettrico, che è proprio nella snda che mi sta strofinando.

Quando i cristalli sono attraversati dal flusso di elettroni, cambiano rapidamente forma, turbano le molecole d’aria che li circondano,

generando così gli ultrasuoni.

Analogamente gli ultrasuoni che rimbalzano contro gli organi e tornano in dietro (non si chiama ecografia a caso),

sono raccolti dallo stesso cristallo, che così “solleticato”

inizia a emettere corrente elettrica, i cui impulsi vengono tradotti in immagini sul monitor.

L’esame è finito.

“Bene signora Marelli, a posto. Mentre si riveste, le scrivo la cartella”

Mi sollevo o forse scatto, non mi ero accorta che avevo quasi smesso di respirare.

Mentre mi infilo la maglia, la dottoressa brontola:

“Accidenti il computer è in palla… venga, andiamo nello studio accanto, tanto è vuoto”

La seguo.

Lo stanzino è identico a quello dove ho appena fatto l’esame. Il computer però non funziona neanche

lì e l’ecografista è costretta a scrivere a mano.

“Signora Marelli si sieda pure sullo sgabello….” mi dice con quel sorriso rassicurante che nessun robot ben educato potrebbe offrire.

Mi siedo e mi ritrovo al posto dell’ecografista. Davanti a me c’è la macchina accesa e un’immagine.

Non c'è il nome del paziente.

La fisso a lungo e mi chiedo come cavolo fanno i medici a capire cosa stanno guardando: bianco, nero, forme strane.

Mi sembra di fare il gioco delle nuvole. Nell’ordine ci vedo: un profilo di uomo che legge un libro,

un bambino in bicicletta, un cono gelato. Non resisto proprio alla curiosità.

Quando la dolce dottoressa finisce, le chiedo che cos’è quell’immagine.

“Beh è evidente. E’ un fegato” e muove la punta della penna lungo il perimetro: è vero, ora che me lo ha  fatto notare, la forma è quella del fegato,

un grande rettangolo un po’ sghembo che occupa tutta la schermata.

E poi aggiunge:

“Vede, questa macchiolina qui è un tumore”.

Una macchiolina grigia sbiadita non più grande di una lenticchia.

Penso immediatamente alla persona che ha ricevuto la notizia e mi sento lo stomaco stringere.

Quando esco, semplicemente apprezzo il fatto che il vento fresco mi annuncia che il caldaccio è finito.