amicheArrivo all’appuntamento con qualche minuto di ritardo, si sa che quando ci sono di mezzo i treni, non è possibile sapere quando si arriverà. Una sorta di sfiga quantistica, direi. Salgo le scale della metropolitana e tre di loro sono già lì. Sono belle, belle come me le ricordavo. Daniela non la vedo da ventisei anni, è sempre affascinante, con il suo sguardo felino. Giusi e Cinzia invece non le vedo da “soli” tre anni. Giusi era la più bella della scuola e oggi è una splendida donna.(continua)

 

amicheArrivo all’appuntamento con qualche minuto di ritardo, si sa che quando ci sono di mezzo i treni, non è possibile sapere quando si arriverà. Una sorta di sfiga quantistica, direi. Salgo le scale della metropolitana e tre di loro sono già lì.

Sono belle, belle come me le ricordavo. Daniela non la vedo da ventisei anni, è sempre affascinante, con il suo sguardo felino. Giusi e Cinzia invece non le vedo da “soli” tre anni. Giusi era la più bella della scuola e oggi è una splendida donna. Cinzia ha due occhi da cerbiatta e una risata contagiosa, il tutto condito da una dolcezza senza fine.

Entriamo nella caffetteria, tutta specchi fumé e velluti color rosa antico, è una bolla anacronistica nel cuore di Milano: nessun rumore di traffico, nessun grigio-città, nessuna ragazzina agitata da WhatsApp e mescolata dagli urletti delle amiche. Solo anziane signore che gustano il the in compagnia delle amiche.

Non la smettiamo di abbracciarci, dirci: “Allora come va-quanto tempo-sei ancora bellissima”. Eccola, è arrivata anche Elena, con la sua splendida bimba. E allora si parte con le parole che disegnano i ricordi. Mi prendono in giro perché ero l’unica della classe che capiva le equazioni di secondo grado (era una scuola superiore per segretarie d’azienda e la matematica non era certa la punta di diamante del programma). E ancora a ridere ricordando la professoressa di scienza dell’amministrazione (mai incontrato una materia più inutile, al pari di “Impariamo a contare i peli dei gatti) che quando incrociava le braccia, era costretta ad appoggiarle sull’enorme seno. Per non parlare di quella d’inglese, che quando parlava sputacchiava a raffica sul banco di quella sventurata che stava in prima fila. Era una classe femminile, la nostra. Pessimo ambiente per un sano ed equilibrato sviluppo sociale (leggi: nessuna relazione col mondo maschile)  ma eccezionale per coltivare una autentica sorellanza.

E così ci ritroviamo dopo tanti anni.

Mi sento come avvolta in un morbido abbraccio, l’amicizia è anche una sensazione fisica. C’è chi ha avuto un tumore e l’ha superato, chi ha affrontato il divorzio, la morte dei genitori, i problemi con i figli e tante altre sfighe che andrebbero semplicemente definite come “momenti della vita”. E allora vai col selfie. Le guardo e non so per quale magia le vedo identiche a ventisei anni fa. Non vedo le rughe, non vedo i segni dell’anima riflessi sul viso, non vedo gli occhi stanchi. Mi appaiono come le ragazze di sempre, le ragazze che sognavano un grande amore, di essere felici o almeno serene. Non a tutte è andata così ma è bello ritrovarsi e raccontare come è andata. Ci promettiamo di rivederci per un pranzetto a fine gennaio, abbiamo ancora tante cose da dirci. E ci sarà anche il momento “Tira-fuori-le foto”. Eravamo nei pieni Anni Ottanta, con pettinature a carciofo, spalline da Mazinga e il fondoschiena fasciato dai leggins (a quel tempo: fuseaux) ma coperto da lunghe camicie. E intanto si va avanti.