Qualche giorno fa avevo pubblicato un post dedicato al test di Porsolt, usato per verificare l’efficacia degli antidepressivi (in Italia sono al primo posto nelle vendite di farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale).
L’avevo semplicemente descritto ma molte domande sono rimaste senza una risposta. Per questo ho intervistato il dottor Stefano Cagno, medico chirurgo e psichiatra, dirigente medico di primo livello all’Ospedale di Vimercate.
In rete trovate moltissimi link relativi a suoi scritti, interviste, interventi ecc. Uno dei più noti riguarda “Le dieci domande” che lo psichiatra aveva inviato ai sostenitori della sperimentazione animale. Il medico ha scritto anche l’ebook Sperimentazione animale: un male da sconfiggere (Editrice GoWare, € 2,99, tutti gli store). Tra topi costretti a nuotare, (continua)
Qualche giorno fa avevo pubblicato un post dedicato al test di Porsolt, usato per verificare l’efficacia degli antidepressivi (in Italia sono al primo posto nelle vendite di farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale).
L’avevo semplicemente descritto ma molte domande sono rimaste senza una risposta. Per questo ho intervistato il dottor Stefano Cagno, medico chirurgo e psichiatra, dirigente medico di primo livello all’Ospedale di Vimercate.
In rete trovate moltissimi link relativi a suoi scritti, interviste, interventi ecc. Uno dei più noti riguarda “Le dieci domande” che lo psichiatra aveva inviato ai sostenitori della sperimentazione animale. Il medico ha scritto anche l’ebook Sperimentazione animale: un male da sconfiggere (Editrice GoWare, € 2,99, tutti gli store). Tra topi costretti a nuotare, pavimenti elettrizzati e questioni etiche, vi auguro una buona lettura.
Dottor Cagno, cosa ne pensa del test di Porsolt?
In tutti i test di psichiatria si parte da un concetto errato: si confonde il sintomo con la malattia. L’immobilità di un topo che smette di nuotare nel test di Porsolt è visto come la rinuncia a lottare nell’umano depresso. A parte l’assurdità di paragonare il comportamento del topo alla depressione umana, pensiamoci bene: la rinuncia del topo è un sintomo. Faccio un esempio: io posso avere la febbre. Ma la febbre è sintomo di che cosa? Ho l’AIDS? Ho l’influenza? Ho una broncopolmonite? Oppure, i miei occhi lacrimano: mi è entrato qualcosa nell’occhio oppure sto pensando a qualcosa di triste? Quindi se voglio curare la febbre, devo saper prima a che cosa è dovuta, no? Tornando al test di Porsolt: un topo che smette di nuotare che informazioni ci può dare? Gli animali non parlano, come possiamo noi sapere come si sentono? Questi tipi di esperimenti sono solo artifici che danno l’illusione di studiare una malattia. Non a caso per quanto riguarda le conoscenze in psichiatria siamo fermi agli inizi del 1900. Vogliamo andare avanti così?
E lo shock elettrico?
Anche in questo caso è un abbaglio. L’animale che riceve le scosse dal pavimento elettrizzato, dopo aver capito che dalla gabbia non può scappare, a un certo punto si raggomitola nell’angolo e rimane immobile. E quindi? Cosa si può dedurre? Qualcuno dice che questo test è valido per studiare la depressione perché l’essere umano depresso si muove poco ed è apatico. Questo test è stato però anche indicato utile per lo studio dell’ansia: le scariche riprodurrebbero l’ambiente pericoloso che l’ansioso percepisce, ad esempio, nella fobia sociale. Ma ansia e depressione sono due condizioni completamente diverse! Oppure si pensi alla schizofrenia, dove il paziente ha allucinazioni e deliri. Come posso chiedere a un topo se si sente Napoleone? La verità è che la dinamica che porta alla depressione nell’uomo è ancora sconosciuta. Parlo naturalmente della depressione endogena. Se una persona ha perso il lavoro, è stata lasciata dal partner e ha un figlio malato è ovvio che si senta depressa: si parla in questo caso di depressione reattiva. Con depressione endogena invece mi riferisco a quello stato di tristezza e disperazione che nasce non come reazione “normale” a un evento tragico, ma proprio a una malattia di cui non conosciamo l’origine e che però tentiamo di curare con i farmaci. Quindi quell’animale da laboratorio non è depresso: può al massimo trovarsi in una condizione simile a quella di un disturbo post traumatico, simile a quello che ci colpisce dopo una grave lutto, perché in questo caso lo sperimentatore gli causa dall’esterno un disturbo.
Allora perché continuare con questo tipo di esperimenti?
Ho la netta impressione che certi ricercatori desiderino avere a disposizione dei test “malleabili”, per dimostrare quello che vogliono. E la sperimentazione animale è perfetta per questo. La SA nacque in un momento storico in cui non si sapeva ancora nulla del funzionamento di un corpo umano. Per capire la circolazione sanguigna e il funzionamento del cuore, studiare un coniglio o un ratto è stato utile, ma oggi siamo ben oltre. Le conoscenze che ci poteva dare la SA ormai le abbiamo acquisite. Non può dare niente di più. E’ come un libro che abbiamo ormai letto e riletto, non ci può più dare informazioni utili perché oggi siamo entrati nello specifico, nel microscopico, potremmo dire nel microcosmo della biologia, dove il diverso metabolismo animale e le differenze genetiche hanno un grande peso. Come posso sperimentare un farmaco per il cuore su un roditore che ha normalmente 400 battiti al minuto mentre un umano non deve superare i 100? Chi è favorevole alla SA afferma, a ragione, che il 95% del genoma dei roditori e quello degli esseri umani è uguale. Tuttavia quel 5% rimanente corrisponde a 1500 caratteri geneticamente differenti che poi spiegano perché nessuno confonderebbe un essere umano e un topo.
I sostenitori della sperimentazione animale dicono che questa è stata validata dai risultati ottenuti negli anni…
Innanzitutto la validazione del metodo non c’è mai stata. I pro-SA dicono che sono i 200 anni di storia a dare ragione a questi metodi, ma non si capisce cosa intendano. Per centinaia di anni si è sostenuto che la Terra fosse piatta e quindi questo bastava per rendere scientificamente corretta quella credenza? Se non possiamo utilizzare nuove metodiche, come possiamo affermare che la sperimentazione animale è l’unica via? La cosa più assurda è che i metodi sostitutivi alla SA per essere validati devono dare risultati confrontabili con quelli ottenuti con la sperimentazione animale che non è mai stata validata.
Cosa ne pensa di questo ritardo nell’introduzione di metodi alternativi e sostitutivi?
Se un modello non funziona, va eliminato, anche se non ho alternative. Qui si usa tempo, denaro e soprattutto si stanno sperimentando sostanze destinate a diventare farmaci per persone malate. Non ci si può permettere il lusso di far finta che le cose funzionino. La Food and Drug Administration, che è l’agenzia americana di controllo per la commercializzazione dei farmaci, ha dimostrato che il 92% delle sostanze che superano i test su animali, non supera i test sugli umani e di quell’8% che supera entrambi i test e quindi viene commercializzato, il 50% viene poi ritirato per avere provocato gravi reazioni avverse nei pazienti. È questa l’affidabilità dei test sugli animali? Chi si fiderebbe di un metodo che fallisce nel 96% dei casi? Chi può affermare che un metodo che fallisce nel 96% dei casi tutela la salute umana? E chi può affermare che la sperimentazione animale evita di sperimentare sugli esseri umani, quando la legge impone che si sperimenti anche sugli esseri umani, dopo averlo fatto sugli animali? E infine perché si deve sperimentare sugli animali, se non perché dei test sugli animali non ci possiamo fidare?
I primi antidepressivi furono scoperti grazie ai test sugli animali?
No, furono scoperti per caso. La molecola era l’Isoniazide, un antitubercolare. Alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso i medici si accorsero che chi, ammalato di tubercolosi, lo assumeva aveva un umore migliore rispetto agli altri ammalati che non lo assumevano. Da quel momento si pensò che forse poteva avere un effetto antidepressivo.
Invece di far nuotare i topi, oggi per sperimentare gli antidepressivi potremmo per esempio clonare i recettori neuronali. Perché un farmaco funzioni deve legarsi a delle strutture che si chiamano recettori. Così, se la molecola in fase sperimentale si lega ai recettori si va avanti, altrimenti si butta via. E per verificare come la sostanza è metabolizzata è in via di sviluppo uno strumento rivoluzionario: il simulatore metabolico. Inserendo, ad esempio, tutte le informazioni in possesso riguardanti sostanze simili a quella in via di sperimentazione e i risultati di test sulle colture cellulari umani della sostanza stessa, potremmo prevedere con ottimo margine di sicurezza cosa accadrà davvero in un corpo umano quando assumerà la sostanza. In questo campo i cinesi sembra che stiano lavorando moltissimo: chissà che le cose cambieranno quando saranno loro per primi a diventare leader in quel metodo e noi saremmo costretti a modificare la nostra pigrizia mentale.
Qual è il problema allora?
Uno dei problemi principali è la mancanza di fondi. Si pensi che quando l’onorevole Brambilla presentò una proposta di legge sulla SA chiedendo che un terzo, un terzo non tutti, dei fondi per la ricerca fosse indirizzato allo studio dei metodi alternativi, fu proprio questo punto che fu il primo a essere bocciato. E non ci rendiamo conto dei danni incredibili che stiamo subendo. Chi poteva dire che tale proposta era contro la scienza? Certamente sarebbero diminuiti i fondi per la sperimentazione animale, ma aumentati quelli sui metodi innovativi. I grandi difensori della scienza e della sperimentazione animale, in realtà sono persone che cercano di salvare il proprio posto di lavoro.
Però quando il metodo alternativo esiste, il ricercatore è obbligato a usarlo…
Assolutamente no. Questa è una balla. Non c’è alcuna legge che lo obbliga. Si può usare anche quello ma non c’è l’obbligo. Secondo lei davanti a due metodi, di cui uno è ben conosciuto per chi lo usa e l’altro da imparare ex-novo, cosa sceglierà il ricercatore? E’ come chiedere a un pilota di formula uno: vuoi continuare a fare il pilota oppure cimentarti nel nuoto? I metodi alternativi andrebbero resi obbligatori: solo in questo modo chi ha soldi da investire, sceglierà lo sviluppo dei metodi alternativi. Ma chi investirà soldi in un metodo che poi non ha la certezza che verrà adottato?
Molti sostenitori della sperimentazione animale dicono che la questione etica deve restare fuori dal dibattito scientifico. Lei dottor Cagno che ne pensa?
Benissimo, allora come mai non sperimentano sui carcerati o sui bambini orfani? Perché non è etico! E allora l’etica entra in campo scientifico eccome! Il problema è che per alcuni le limitazioni di tipo etico riguardano solo gli esseri umani e non gli animali.
L’opinione pubblica è molto divisa sull’argomento…
Innanzitutto la gente vuole essere rassicurata. Con tutti i piccoli e grandi problemi quotidiani, non ha voglia di pensare ai topi da laboratorio ammalati di tumore o ai cani che testano farmaci, ma vuole qualcuno che dica che va tutto bene, che è tutto sotto controllo, che fino a quando ci saranno gli esperimenti sugli animali, saremo al sicuro. E poi pensate a come si può manipolare l’opinione pubblica. Posso chiedere: “Ehi, tu, preferisci salvare la vita a un bambino o un topo?”. Proviamo invece a chiedere: “Preferisci avere dei farmaci sicuri e testati con metodi tecnologicamente avanzati oppure sui topi che non ti assomigliano per niente?”. Per fortuna oggi grazie alla Rete si comincia ad avere una nuova presa di coscienza.
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