Forse vi sarà capitato di assumere antidepressivi. Oppure di conoscere persone che li stanno assumendo. Ebbene, come vengono testati questi farmaci prima di essere immessi sul mercato? Prima di scoprirlo è necessario specificare una cosa importante: gli scienziati non conoscono ancora il meccanismo esatto degli antidepressivi. Si sa che(continua)
Forse vi sarà capitato di assumere antidepressivi. Oppure di conoscere persone che li stanno assumendo. Ebbene, come vengono testati questi farmaci prima di essere immessi sul mercato? Prima di scoprirlo è necessario specificare una cosa importante: gli scienziati non conoscono ancora il meccanismo esatto degli antidepressivi.
Si sa che per esempio gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI, come per esempio la duloxetina), evitano che la serotonina venga “bruciata” troppo presto ma la biochimica è molto più complessa: basti dire che gli SSRI agiscono dal punto di vista chimico fin da subito ma gli effetti sull’umore si vedono dopo una-due settimane. E molte volte non fanno neanche effetto. Perché? Non si sa. Alcuni esperti sostengono che una spiegazione basata puramente sulla neurochimica, non può essere accettabile, c’è di mezzo anche la nostra mente intesa come “essenza di noi stessi”, come la nostra piscologia. Ma torniamo ai test.
Si usano, tra gli altri, il test di Porsolt (detto anche del nuoto forzato o del test nuoto disperato) e il test della sospensione per la coda. Qui a nuotare forzatamente e in modo disperato è un topo. Ed è sempre un topo che è tenuto sospeso per la coda. Vediamo come si svolgono.
Il test è basato sull’ipotesi che un animale in situazione di stress, proverà in tutti i modi a scappare. Se la fuga è impossibile, l’animale alla fine si ferma e soccomberà. Nel test di Porsolt un topo è forzato a nuotare in un contenitore dal quale non può scappare.
Prima di somministrargli l’antidepressivo, nel topo si provoca uno stato di frustrazione, che il farmaco successivamente dovrà risolvere. In pratica il topo è inserito nel contenitore per una prima volta e apprende che da lì non può scappare. Se è messo nella stessa condizione una seconda volta, il topo sa che non può scappare e non ci prova neanche.
Ma se è sotto l’effetto dell’antidepressivo in modo cronico (come avviene per un essere umano, che lo assume per più giorni) allora la situazione cambia: il topo reagisce e tenta di scappare, nuotando e provando a scalare le pareti del cilindro. Quando l’animale si ferma e galleggia sulla superficie, si ritiene che abbia smesso di lottare e secondo i ricercatori un animale che smette di lottare mostra caratteristiche simili a un essere umano depresso. Quindi se il topo assume un antidepressivo che funziona, allora il suo tempo di nuoto forzato sarà prolungato rispetto a un topo che ha assunto una molecola non efficace o nessuna molecola. Chi fa questo test tiene a specificare che, appena il topo si arrende, viene prelevato e accuratamente asciugato sotto una lampada (non strofinato per non stressarlo ulteriormente).
Il test di sospensione per la coda è tutto nel nome: un topo è sospeso per la coda (per un massimo di 6 minuti). Comincerà ad agitarsi per fuggire ma dopo un certo tempo si arrenderà. L’immobilità è interpretata come una forma di disperazione. Il topo sotto l’influsso di un antidepressivo tenta di fuggire per un tempo più lungo.
Io sono basita. E mi chiedo: perché farmaci così importanti, che vanno a modificare la biochimica del nostro cervello, sono valutati ancora oggi attraverso questi metodi? Prendere un topo per la coda o tentare di affogarlo (sì, va bene, poi si salva) può dare informazioni scientificamente utili e valide per valutazione dell’efficacia di un farmaco antidepressivo? Sono veramente necessari questi test?
Fonti:
http://people.unica.it/micaelamorelli/files/2011/04/Antidepressivi.pdf
Lascia un commento